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Frammenti di ricordi durante il ricovero in cure intensive

Ultima modifica il 4 Marzo 2024

Il tempo passa e alcuni ricordi ritornano a galla

31 ottobre 2023, ieri ho fatto il vaccino dell’influenza e il 10.11.2023 alle 10 farò il sesto vaccino contro il Covid. 

Non so come sarà, ma fino al quinto ho sempre ricevuto la dose completa (non il booster) del vaccino Moderna.
Oggi mi sento come se mi avesse investito un autoarticolato.
Sono le 00:40 del mattino e non riesco a dormire, sdraiato fatico a respirare, alzo la testata del letto e mi metto seduto, non ho risolto il problema ma va meglio..
La tosse sta mettendo alla prova il mio fisico, ma non la mente, sono due individui che viaggiano a ritmi distinti l’uno dall’altro.
Ad ogni respiro mi fa male il torace, mi sembra che l’aria debba percorrere un tratto molto più lungo per arrivare ai polmoni, in quel tratto la poca aria che inspiro si disperde da qualche parte o forse viene assorbita da qualcosa altro, ma non dai miei miseri polmoni. 

La mia mente invece ha paura, pensa a quanto ho passato, alle Direttive anticipate in caso perdessi la capacità di discernimento e non fossi in grado di esprimere la mia volontà, documento che ho redatto e lasciato a mia moglie e a sua cugina. (e di cui sono convinto).

Ma se mi succede qualcosa d’improvviso, cosa faccio?
Non ho paura di morire, ma ho il terrore di soffrire, di passare ancora quell’esperienza, di avere ancora quella fame d’aria che il mio corpo non riusciva a saziare.

La mente galoppa e durante quei pensieri mi sono tornati alla mente i primi  mesi dopo la sedazione.
In quei giorni mi sembrava di aver addosso un abito che non mi apparteneva. 
Il corpo non era più mio, era un entità che aveva percorso un lungo e funesto viaggio senza di me.
Non era più il mio fisico, io non sapevo, non ricordavo, non avevo provato quello che il corpo invece mi mostrava e mi voleva far vedere.
Un percorso duro e a tratti funesto, che lo aveva messo alla prova più di una volta, un vagabondare che lo aveva prosciugato da tutte le energie di cui disponeva. Era rimasto abbandonato e indifeso, senza energie, senza la forza di svolgere semplici azioni come muovere il dito di una mano, un muscolo, dalle sue corde vocali non usciva più alcun suono.
Non aveva più voglia di vivere e di combattere, lo aveva dovuto fare per troppo tempo e troppe volte, era ora di riposare e di riprendersi le energie che aveva dovuto spendere in tutte quelle sfide per la sopravvivenza. 

Questo io non lo sapevo.
Ricordavo un corpo funzionante, che mi aveva dato tante soddisfazioni e che potevo e avevo messo alla prova più volte senza alcun problema, non mi aveva mai deluso e non aveva mai rigettato i miei ordini.
Io, lui non lo conoscevo, lui non mi capiva e io non capivo lui, eravamo due estranei messi li, uno accanto all’altro senza neanche essere stati presentati. 

Eppure tutti e due dovevano combattere una battaglia dura e difficile, una battaglia che doveva essere combattuta l’uno accanto all’altro e non uno contro l’altro.
Lui invece mi sembrava combattere contro di me, io non sapevo che questo straniero aveva già dovuto combattere molte battaglie da solo prima di allearsi con me.
Non lo conoscevo e lui non mi parlava, non mi raccontava nulla di sé, eravamo due sconosciuti messi li da qualcuno con un potere al di sopra del nostro volere e senza alcuna remora per la nostra sicurezza.
Quale sarebbe dovuto essere il futuro con questo compagno sgangherato e con poche energie da spendere?
Non lo so, sono passati quasi tre anni ma non ho ancora una risposta a questo quesito.

Ora va meglio, il respiro è più rilassato, ogni respiro è più lungo e profondo.
È ora di riposare non solo il corpo ma anche la mente!
Dormi, sono le 2:23 del mattino!

Si ma in questo capitolo avrei voluto raccontarvi dei miei ricordi durante il periodo passato in cure intense al Cardiocentro Ticino.
A dirla tutta non ho moltissimi ricordi, rammento dei momenti di lucidità a cui però non riesco a dare un ordine temporale.
Oggi è il 17 gennaio 2024 , tre anni fa in questo periodo ero nel bel mezzo di questa avventura, come avrete avuto modo di leggere in quei giorni ero stato trasferito nelle cure intense della Clinica Moncucco.
Torniamo al mio risveglio dopo che il mio corpo ha dovuto superare tutte le varie sfide per arrivare ad essere un entità priva di energia e di funzionalità, era un corpo messo li, disteso in un letto, inerte e immobile.

Il risveglio

I primi giorni dopo il risveglio, venne a trovarmi mia moglie, avevo gli occhi socchiusi, ero privo di vita, assorbivo le sue parole passivamente, senza alcun interesse .
Da un lato era piacevole, mi sentivo dissociato dalla realtà e dalle preoccupazioni, non mi interessava niente, ero in balia del mio destino, in modo passivo, non avevo la forza per muovere un dito, figuriamoci per reagire a quanto mi stava succedendo.
In quel occasione mia moglie Mirna  mi disse: “Non appena starai meglio andremo in vacanza in un luogo magnifico”.
Io sognavo un mare caraibico, dove non era mai stato, un mare da cartolina.
Il mio sogno era ed è la Polinesia Francese, l’isola di Taha ( me ne sono innamorato vedendola in un documentario).
Purtroppo però il mio fisico era tornato quello di un “bambino”.
Un bambino a un anno inizia a camminare, io no!
Un bambino di un anno inizia a mangiare autonomamente, io no!
Un bambino di un anno inizia a parlare, io no!
Un bambino di un anno impara a impugnare gli oggetti, io no! 
Non potevo parlare in quanto avevo la tracheostomia, ma anche potendo il mio corpo non aveva l’energia per farlo e la mia mente non ne sentiva il bisogno.
Non riuscivo a muovermi, a spostarmi, o semplicemente a girarmi nel letto.
Non avevo la forza di sollevare le braccia, riuscivo a muovere le dita delle mano sinistra, ma erano tremolanti, la debolezza, … e anche il morale mi rendevano tutto difficile, impossibile.

La macchina per le radiografie

Quasi tutti i giorni, in genere al mattino, sentivo il rumore di un motore elettrico, era il macchinario che usavano per farmi le lastre ai polmoni.
Io non dovevo fare nulla, anche perchè non potevo.
Loro mi spostavano, mi “fotografavano” e poi ripartivano con il loro apparecchio motorizzato.
Ricordo che un giorno l’apparecchio non funzionò come doveva, si era scaricato e il tecnico imprecava con chi lo aveva utilizzato prima di lui e non lo aveva messo in carica.
Questo rumore era un “routine” che mi permetteva di orientare la mia mente all’interno della giornata.
Spesso lo aspettavo con impazienza per capire se era mattino o pomeriggio, la sera invece potevo riconoscerla dall’assenza di lice fuori dalla finestra e dalle luci nella camera; era diventato il mio “orologio biologico “.

La tracheostomia

Nel periodo in cui avevo la tracheostomia, dalla mia bocca non usciva alcun suono anche se in alcuni casi mia moglie leggeva il labiale e riusciva a comprendere qualche parola.
Dopo vari mesi che ero tronato a casa mi ha raccontato che la prima volta in cui è venuta a trovarmi gli ho urlato in maniera afona “Chiama il taxi e portami a casa”.
Non ricordo nulla di quel giorno ne tantomeno di quella visita.
Rammento che comunicavo a gesti con la mano sinistra, facevo segno con l’indice verso la gola per indicare agli infermieri che volevo essere aspirato dalla tracheostomia.
Periodicamente, più volte al giorno dovevo farlo in quanto si depositava il catarro e mi rendevano difficoltosa la respirazione.
Inserivano un sondino nel foro della tracheostomia e scendevano ad aspirare i vari liquidi che si depositavano.
C’erano infermieri più timorosi o forse con meno esperienza che si limitavano ad aspirare “in superficie”, in quel caso non avvertivo un gran miglioramento, ma quando mi aspiravano fino in profondità mi sembrava di rivivere e in seguito mi sentivo più rilassato.
Non era piacevole, ma era sicuramente meglio di quando la tracheo si intasava e dovevo sforzarmi per far entrare l’aria in quei polmoni malridotti dal covid.
Dopo qualche giorno, … o forse settimana, durante una delle visite di mia moglie, uno degli infermieri, non ricordo chi, disse: “Proviamo a mettere la valvola fonatoria così puoi fare quattro chiacchiere con tua moglie”.
Io e mia moglie ci guardammo sbalorditi.
Io feci subito cenno “Ok”, finalmente avrei potuto comunicare.
Mia moglie era un po’ impaurita da questa inaspettata e fulminea proposta, disse all’infermiere: “Ma il medico lo sa?” 
Rassicurandola l’infermiere le disse che non ci sarebbe stato alcun pericolo e che lui sarebbe stato a pochi metri.
Mi collegarono questa valvola alla tracheostomia e come d’incanto sentii la mia voce, anche se non era la mia solita voce.
Forse la valvola, o forse le mie energie non permettevano di far uscire il suono della mia voce come prima della malattia, ma comunque ero in grado di parlare, di comunicare, di esprimermi, … è stato uno dei miei primi successi!
Durò pochi minuti, parlare mi stancava molto rapidamente, neanche stessi tagliando legna o sollevando sacchi di cemento, ma era così, poche parole ed ero esausto, sentivo il bisogno di riposare e dormire.
Così feci, salutai mia moglie, chiusi gli occhi e mi misi a dormire, felice e soddisfatto per aver superato la mia prima sfida.

La sonda naso-gastrica

Non so di preciso quando, ma un giorno, lavandomi il viso, Paul per errore mi ha strappato la sonda naso gastrica, non me ne sono quasi accorto e la cosa mi faceva piacere magari avrei potuto iniziare a assaggiare qualcosa con la bocca.
Invece dopo qualche minuto è tornato con una busta e vario materiale, mi disse che avrebbe dovuto rimetterla in quanto non ero pronto a mangiare.
Ora ero cosciente e l’inserire quella cannula dal naso fino giù all’esofago mi provocava un dolore incredibile, sento ancora il bruciore e gli ostacoli che la sonda incontrava nel suo percorso fino a destinazione.
Paul, con il suo accento Olandese mi diceva “deglutisci così scende meglio”, ma il tubo faticava a scendere, … da non ripetere.
Da quel momento ogni volta che qualcuno si avvicinava al mio viso, avevo il terrore che potesse togliermi quel maledetto sondino.
Quella sonda serviva per alimentarmi, ricordo le sacche che venivano collegate e lo strano retrogusto che saliva dallo stomaco, un gusto per niente piacevole.
Anche alcuni farmaci mi venivano somministrati per via naso-gastrica, in particolare la terapia contro la leucemia.
Ricordo un piccolo macinino elettrico in cui inserivano i farmaci, li tritavano fino a renderli una poverina che scioglievano in un liquido, lo aspiravano con una enorme siringa per poi iniettarmi il tutto attraverso il naso.
La parte piacevole era quando iniettavano la Coca-Cola per “lavare” il tubo dopo la somministrazione dei farmaci, in quel momento avvertivo una sensazione piacevole, intendiamoci non sentivo il gusto ma potevo percepire la freschezza di qualcosa che scendeva attraverso la gola per poi arrivare nello stomaco.

Dopo alcuni giorni, cercando di soffiarmi il naso mi sono sfilato io stesso la sonda naso gastrica, è stato estenuante arrivare con la mano sinistra tremolante al naso e il tremore ha fatto si che mi strappassi la sonda, non potevo usare la mano destra, la mia mano dominante non si muoveva.
Ero disperato, non volevo passare ancora una volta quel calvario, ma non potevo esprimerlo se non attraverso le lacrime e pochi segni con le dita della mano sinistra.
Fortunatamente gli infermieri se ne se ne accorsero e parlarono con il medico per stabilire se era necessario riposizionare la cannula oppure no.
Fortunatamente non me l’hanno più messa, significava iniziare a mangiare e bere.
Ero felicissimo.
Ma il mio entusiasmo si spense ben presto, prima di mangiare dovevo avere il consenso della logopedista.

La maggior parte delle medicine mi venivano ancora somministrate per via venosa, ma alcune come quella per la leucemia veniva tritata e sciolta in acqua con un addensante e mi venivano date con il cucchiaino come con i bambini quando imparano a mangiare, io non riuscivo ancora a portare la mano dal bicchiere alla mia bocca. Inoltre i tremori avrebbero fatto finire la maggior parte del liquido addensato da tutte le parti tranne che nella mia bocca.

Il letto con le sponde

Ero sdraiato sul dorso a faccia in su, vedevo i soffitto bianco con alla mia sinistra una finestra che mi permetteva di vedere cosa succedeva fuori. Ma ad essere sincero non avevo un grande interesse di vedere di quello che stava accadendo fuori, i miei pensieri erano annebbiati, mi pareva dei essere in un isola dove non esistevano i pensieri, non esisteva la paura, non si avvertiva il dolore e il tempo non contava. Facevo fatica a distinguere il giorno dalla notte e personalmente non ci tenevo ad esserne consapevole.
Un cosa che mi disturbava però c’era, erano le sponde del letto a cui non riuscivo ad aggrapparmi per potermi girare sul fianco, dopo molte ore passate supino, dove gli unici movimenti che riuscivo a compiere erano muovere il capo verso destra e verso sinistra e il braccio sinistro che riuscivo a trascinare sulle lenzuola fino al lato esterno del letto. Si il 7 marzo (descritto nel diario di degenza), avevo iniziato a muovere la mano sinistra. 
Questo era già stato un primo progresso, poi con i giorni – settimane sono riuscito a spostare anche il braccio.
Il fatto di riuscire a muovere il braccio mi aveva dato la convinzione che avrei potuto aggrapparmi alla sponda del letto e tirandola verso me stesso avrei potuto ruotare il corpo e girarmi sul fianco.
Era una pura illusione, il braccio si lo muovevo, ma non era ancora in grado di sovrastare la forza di gravità, figuriamoci di spostare un corpo, anche se dimagrito parecchio pesavo pur sempre 52 Kg.
Ricordo che sulla sponda erano presenti i pulsanti per comandare il letto, ma anche in quel caso non se ne parlava di riuscire ad alzare o abbassare il capo, la sponda era troppo lontana, inoltre il tremore non. mi permetteva di raggiungere e mantenere la pressione sul pulsante.
Queste difficoltà mi demoralizzavano molto, iniziavo a capire in che razza di situazione mi ero cacciato, e pian piano capivo che non sarei riuscito a tornare la persona che ero prima.
Infatti gli infermieri scrivevano nel diario di degenza:
“È il primo giorno che la curo e sono felice di vedere i bei passi avanti che ha fatto; lei è piuttosto demoralizzato perché comincia a rendersi conto della situazione, ma continua a fare piccoli passi verso la guarigione.”

Il trasbordo dal letto alla poltrona

Era dal 12 gennaio 2021 che il mio corpo non si alzava autonomamente dal letto.
Venivo alzato grazie al sollevatore che permetteva agli infermieri di non rompersi la schiena, sebbene il mio peso si era ridotto di oltre 25 Kg. La sensazione che dava il sollevatore non era piacevole, ero in un sacco sospeso nel vuoto e vedevo ben poco di quello che mi succedeva, ma questo era e dovevo adeguarmi.
Pian piano con il passare delle settimane iniziavo ad avere un po’ di forza nella mano sinistra ed allora un degli infermieri mi disse. “Oggi proviamo una nuova tecnica, mi dovrai abbracciare intensamente come se abbracciassi tua moglie”. Inizialmente non capivo, ma poi lui si avvicino e si abbasso verso di me, prese le mie mani e se le mise attorno al suo collo. A quel punto mi disse: “Ora tieniti le mani, il resto lo faccio io, ci alziamo e poi ruotiamo verso la poltrona”. Ero sconcertato in quanto gli unici muscoli che riuscivo a muovere erano quelli della mano sinistra, e anche con quella non è che avessi una forza mostruosa. Mi disse: “Uno, due, tre, e vai!”. Si sollevò con me abbracciato attorno al suo collo, si girò e delicatamente mi adagiò sulla poltrona.
La sua risposta fu: “Hai visto che ce l’abbiamo fatta!”.
Per me quel giorno è stato un successo, non avevo più bisogno … o quasi di quel sollevatore.
Nei giorni seguenti cercammo ancora di utilizzare quella tecnica per spostarmi dal letto alla poltrona e viceversa, ma non sempre riusciva, molti infermieri avevano timore ad alzarmi così, altri non avevano la forza e quindi preferivano ad essere in due, ma in quel caso la sincronizzazione dei movimenti nel sollevarmi era difficile.
Col passare del tempo però anch’io imparavo a conoscere i miei infermieri e mi sapevo adattare alle loro tecniche di sollevamento. L’importante era potersi alzare per qualche ora da qual maledetto letto e guardarsi un po in giro.
Il 16 marzo 2021 gli infermieri mi scrivevano: “Oggi è stato in poltrona più di 5 ore, per tutto il giorno non ha avuto bisogno del ventilatore, è stata sufficiente un flusso d’aria e di ossigeno elevata.”
Sicuramente un successo, un primo passo verso la guarigione? Era dal 12 gennaio che mi trovavo in un letto d’ospedale e questo iniziava a preoccuparmi. Inoltre sapevo che i miei genitori erano alla Clinica Luganese Moncucco, tutti e due erano in cure intense e questo mi preoccupava. Sapevo che mio padre aveva poche chance di riprendersi, ma invece per mia mamma i medici erano ottimisti, l’avevano anche estubata.
Queste mie informazioni però risalivano a metà gennaio e sebbene avessi una strana percezione del tempo, probabilmente a causa dei medicamenti che ricevevo, iniziavo sempre più a pensare a loro e a come potessero stare. Man mano che i giorni passavano questa preoccupazione si trasformava sempre più in paura.
Chiedevo agli infermieri se avevano notizie dei miei genitori, ma loro cortesemente mi dicevano di essere al Cardiocentro e di non avere informazioni su di loro. A posteriori invece venni a sapere che tutti tranne me lo sapevano, ma visto il mio stato non volevano caricarmi di un ulteriore dolore.
Seppi della morte dei miei genitori verso la fine di marzo 2021, lo seppi da mia moglie.
Lo sospettavo in quanto appena tiravo in ballo quel discorso o chiedevo di loro tuti cercavano di cambiare argomento o se ne andavano.
Non so se è stato grazie ai medicamenti o ad alla debolezza del corpo, ma devo dire che in quel momento il dolore e il dispiacere non è stato così intenso, finalmente lo avevo saputo, ma ancora non me ne rendevo conto.
Il vero dolore e la mancanza non sono però tardati ad arrivare, nei mesi seguenti, quando ero tornato al domicilio li cominciai a rendermi conto di quanto mi era successo e della perdita. Prima di tutto questo, settimanalmente mia madre e mio padre venivano a farci visita, in quelle occasioni arrivavano con una cassa con le prelibatezze che cucinava mia madre e con qualche bottiglia di vino con cui gustare l’ottimo cibo. Si fermavano a pranzo fino al tardo pomeriggio per poi salutarci e ritornare nel loro nido, un appartamento piccolo ma carino in quel di Vacallo.
Tutto questo d’ora in avanti non sarebbe più accaduto, non avrei più visto i loro volti, i loro atteggiamenti quando discutevano perchè in disaccordo su qualcosa, la maggior parte delle volte erano bazzecole o incomprensioni.
Tutto questo non ci sarebbe più stato e non ci sarà più!

Gli allarmi – il manicotto della pressione e il sensore dell’ossimentria

Ero sveglio, vedevo e capivo quanto accadeva attorno a me.
Ad essere onesto non posso dire che ero completamente cosciente, mi sentivo ancora come in una bolla protettiva. Non avvertivo dolore e appena dicevo di sentire dolore o un disagio subito si precipitavano da me per cercare di risolvere il problema. Ero un po’ la mascotte delle cure intense, ormai erano mesi che ero con loro.
Ricordo che avevo la tracheo e che spesso dovevano aspirarmi per liberarmi dal muco per permettermi di respirare meglio. Non appena sentivo il gorgoglio attraverso la tracheo, alzavo il palmo della mano sinistra e subito loro arrivavano ad aspirami; era diventato quasi un segnale in codice che loro capivano al volo.
Nonostante questo avevo ancora un sacco di presidi medici collegati al corpo e questi davano parecchio fastidio.
Ricordo ancora oggi che i due apparecchi più fastidiosi erano il manicotto della pressione arteriosa e il sensore dell’ossimetria. Di giorno la cosa era sopportabile, ma di notte era molto irritante, ogni ora (presumo ) iniziava a gonfiarsi e nel mentre mi stavo addormentando quell’aggeggio mi comprimeva il braccio e mi svegliava.
Se andava bene era solo la compressione al braccio, ma spesso invece iniziava a suonare qualche allarme e da li a poco arrivavano gli infermieri. Tra loro dicevano: “diamogli xx di NORA”, mi sono sempre chiesto cosa potesse essere questa NORA che mi veniva somministrata ogni volta che la campanella degli allarmi iniziava a suonare.
Ora dopo qualche domanda e ricerca ho compreso che la NORA è l’abbreviazione di noradrenalina, un medicamento che ha principalmente queste caratteristiche:

Gli effetti nella noradrenalina si concentrano prevalentemente a livello cardiovascolare.
Ben nota è la sua capacità di aumentare frequenza e contrattilità cardiaca, innalzando la pressione arteriosa per vasocostrizione.

In ogni caso quel manicotto che si gonfiava regolarmente ogni ora oltre ad infastidirmi, mi permetteva di calcolare quanto mancava all’arrivo del mattino.
Un altro apparecchio, per niente invasivo, ma che mi infastidiva molto era il sensore dell’ossimetria
Era attaccato al mio dito 24 ore su 24. Mi sentivo sempre il dito sudaticcio, come se la pelle non potesse respirare, così di tanto in tanto provavo a spostarlo con le dita che rimanevano libere, ma non appena lo facevo iniziava a suonare l’allarme. Medesima cosa accadeva di notte, se magari spostavo la mano o le dita succedeva che il sensore si staccava facendomi svegliare di soppiatto a causa dell’allarme.
C’erano infermieri che non si preoccupavano e appena suonava l’allarme arrivavano e verificavano se il senso re era al suo posto, ma c’erano anche infermieri che dopo il primo allarme prendevano il nastro adesivo (o cerotto adesivo) e mi fissavano il sensore in modo che non si staccasse.
Questo cerotto dava molto fastidio, inoltre irritava la pelle, in quanto restava appiccicato al mio dito per molte ore e in alcuni casi anche per un giorno intero.
Ma verso la fine del mio soggiorno in cure intense, almeno il manicotto della pressione mi venne tolto durante la notte. Molto più comodo, però c’era il rovescio della medaglia, non avevo più un modo per determinare a che punto della notte mi trovavo, ora l’unico metodo era guardare al di fuori della finestra e vedere l’alba che iniziava ad illuminare la mia camera, … anche se la vista non era un gran che.

Per ora è tutto quello che ricordo, non appena affioreranno altri ricordi li riporterò in. questa pagina.
Arrivederci!

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