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La diagnosi … LMC

Ultima modifica il 4 Marzo 2024

Avevo iniziato il nuovo anno scolastico (2020-2021) fiero di aver pianificato e organizzato il tutto nel migliore dei modi.
Da qualche settimana però non ero in forma.
Di notte spesso dovevo alzarmi perchè zuppo di sudore, dovevo cambiare maglietta e lenzuola, ma non mi ero preoccupato più di tanto in quanto le temperature erano ancora estive, quasi tropicali. Almeno questa era la mia sensazione.
Man mano che passavano i giorni e le settimane però ero sempre più stanco e faticavo ad arrivare a sera.
Ma anche li davo la colpa a quanto fatto nei mesi prima a causa della pandemia, infatti il carico di lavoro e lo stress erano stati considerevoli.
Chi dice che lavorare da casa sia più rilassante e programmabile non lo capisco, nel mio caso ad ogni momento c’era una situazione da risolvere, un docente, un allievo o un genitore a cui rispondere e poi bisognava programmare e portare avanti le normali attività di routine. Oltre ad essere vicedirettore, e in quell’occasione sostituto del direttore ero anche uno degli informatici di sede e in qual periodo la struttura informatica era molto sollecitata a causa della formazione a distanza che i docenti dovevano svolgere.

Era un mercoledì mattina (21 ottobre 2020), mi sono alzato come ogni giorno verso le sei del mattino, ma ero molto stanco, mi sembrava di non aver risposato per nulle durante la notte.
Saltai in sella alla mia moto e mi diressi verso Chiasso, più o meno una trentina di chilometri da casa.
Arrivato a scuola smontai dalla moto a fatica e quasi non riuscivo a metterla sul cavalletto da tanto che mi sentivo stanco.
In quell’occasione mi resi conto che qualcosa non andava, andai in segreteria e dissi alla segretaria che sarei tornato al domicilio in quanto non mi sentivo bene.
La mia intenzione era di andare dal medico di famiglia che aveva lo studio a pochi passi da casa e chiedere qualche giorno di malattia per riprendermi e tornare al lavoro come sempre.
Il medico mi fece una breve visita, vista la situazione mi fece il tampone e le analisi del sangue e in seguito mi disse di restare a casa in isolamneto fino a che avrebbe avuto l’esito del tampone e delle analisi.
Verso le tre del pomeriggio mi chiamò e mi disse che sarebbe venuto a casa in quanto mi doveva parlare e darmi l’esito delle analisi.
Non ero preoccupato, pensavo che voleva venire a casa per dirmi che ero positivo al covid e verificare se mi ero isolato dal resto della famiglia.
Arrivato vidi che era come in imbarazzo, e dopo poco mi disse che dalle analisi risultava un tasso stranamente elevato dei globuli bianchi.
Non capivo cosa volesse dire, pensavo fosse qualcosa di transitorio, ma poco dopo mi disse che sarebbe venuta l’ambulanza per portarmi all’ospedale Civico per accertamenti.
Questa sua decisione mi sembrava esagerata, ma alla fine mi convinse, mi disse che era per accertamenti e per verificare in maniera più precisa le sue analisi.
Arrivai all’ospedale e tra infusioni, analisi del sangue, elettrocardiogramma, … insomma mi fecero tutti i tipi di analisi e indagini.
In quell’occasione origliai quanto dicevano medici e infermieri, lì udii per la prima volta la parola LEUCEMIA!
Fino ad allora pensavo si trattasse di qualcosa di passeggero, curabile con un po di paracetamolo o un medicamento simile.
Il mio medico di famiglia non aveva pronunciato la parola LEUCEMIA, ma tasso di globuli bianchi stranamente elevato.
Iniziai a preoccuparmi e a pensare cosa ne sarebbe stato di me, fino ad allora avevo sempre conosciuto la leucemia come malattia invalidante e con un tasso di mortalità elevato.
Dovetti passare la notte in ospedale, anche se inizialmente non ero d’accordo.
Mi dissero che se restavo in ospedale l’indomani sarei potuto essere visitato da una Dottoressa ematologa dello IOSI ed avere qualche informazione più precisa in merito a quanto mi stava succedendo e a cosa sarei andato in contro.
Anche i medici dell’ospedale Civico non mi avevano confermato la diagnosi, ma solo ventilato la possibilità che si trattasse di leucemia.
Passai la notte in bianco a pensare a tutti i possibili scenari a cui io e la mia famiglia saremmo andati incontro.
I miei figli erano ancora dipendenti da me, stavano terminando gli studi liceali e non avevano ancora definito il loro futuro.
Non sapere come sarebbe stato il loro futuro mi preoccupava e mi spaventava all’inverosimile.

Il giorno dopo la dottoressa mi spiego che dalle analisi risultava questo tasso anomalo dei globuli bianchi e che molto probabilmente visti i valori così elevati potevo avere sviluppato la leucemia mieloide cronica.
Che parolona, … il termine cronico non mi piaceva per nulla, significava che non sarei guarito e che non c’erano speranze.
Invece no! La dottoressa mi disse che la malattia poteva avere un decorso lento e che poteva essere “controllata” con medicamenti specifici.
In ogni caso per confermare la diagnosi dovevo fare una BOM (Aspirato Midollare e Biopsia Osteomidollare), il termine non era invitante e infatti non fu per niente piacevole.

Il 23 settembre la diagnosi era “definitiva”, si attendeva la conferma della BOM, ma ormai era fatta.
Il mio fisico era debole e mi sembrava di retrocedere invece di migliorare, forse anche perchè non avevo ancora iniziato la terapia.
Per iniziare la terapia dovevo attendere l’esito della BOM e per quello ci volevano un paio di settimane.
In quelle settimane oltre ad essere debole fisicamente, anche il morale era a terra, non vedevo un futuro, o perlomeno non lo vedevo come lo avevo immaginato e desiderato io fino a pochi giorni prima.

Di seguito i primi certificati di inabilità lavorativi, inizialmente come sospetta AML (Acute Myeloid Leukemia), sigla che inizialmente non sapevo cosa rappresentasse, e in seguito con la diagnosi di leucemia mieloide cronica.

La BOM confermò la diagnosi, così dovetti iniziare la terapia con Imatinib.
Inizialmente questo medicamento mi creava parecchi problemi, nausea, vomito, dolori articolari, astenia, eruzioni cutanee e prurito.
Ma dopo alcune settimane di pazienza e di sopportazione gli effetti indesiderati cominciarono ad attenuarsi.
Inizialmente non potevo bere alcolici, e questo mi infastidiva in quanto apprezzavo e apprezzo un buon bicchiere di vino (e in compagnia anche più di uno) mangiando.
Essendo immunodepresso il covid non permetteva di riunirci in famiglia, quindi rinunciare al bicchiere di vino non mi pesava più di tanto.

Uno dei pochi contatti fisici che avevo in quel periodo era quello con la nonna Terry (mia suocera), anche lei doveva prestare molta attenzione in quanto aveva parecchie patologie cardiache e non che la rendevano molto fragile e a rischio di contagio.
Il clima piacevole di quei mesi ci invogliava ad uscire di casa, pertanto approfittavamo delle belle giornate per fare delle brevi passeggiate nei dintorni.
Niente di paragonabile alle attività fisiche che mi occupavano nei mesi e anni precedenti, ma ugualmente piacevoli da ricordare.
Ricordo che prima della pandemia partivo da casa (Agno) e andavo al lavoro a Chiasso in bicicletta senza alcun problema; una volta arrivato andavo in palestra, una doccia, un cambio d’abito ed ero pronto per iniziare la giornata lavorativa.

Passeggiata pomeridiana con la cara nonna Terry


Ma ben presto avrei avuto ancora il forte desiderio di sedermi attorno ad un tavolo con i miei cari.
Azzardato? Irresponsabile? Egoista?
A posteriori me lo sono chiesto più volte, ma non ho ancora trovato una risposta.
Fra qualche pagina capirete il senso di questi miei quesiti.

Volente o dolente dovevo convivere con la malattia e con rischi e pericoli a cui questa mi esponeva.
In quel periodo ero piuttosto pessimista, che tra l’altro e uno dei miei segni distintivi.
Non mi sentivo bene ed ormai era più di un mese che non avevo le energie e l’entusiasmo di un tempo nell’affrontare le sfide.
La terapia con Imatinib stava funzionando dal lato ematologico, i valori e i numeri funzionavano, ma il mio fisico non diceva la medesima cosa.
Non so se fosse la terapia o la malattia, mi sentivo stanco e senza energie e col tempo non avevo l’impressione che le cose stessero cambiando più di tanto anche se la dottoressa invece era ottimista visti i risultati ematici.
Ad ogni visita, oltre alle procedure di routine, come temperatura (per via del Covid), polso, pressione …., guardava sodisfatta lo schermo del computer e in seguito lo ruotava verso di me mostrandomi un grafico con un evidente curva rivolta verso il basso.
Questa curva le dava molta soddisfazione, o almeno questa era la mia impressione, impressione che però non condivideva il mio corpo; lui si sentiva ancora affaticato e con poche energie a disposizione.
Dovevo “accettare” il fatto che stavo guarendo, anche se fisicamente e moralmente non mi sentivo così.

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